La virtualizzazione dei server è uno degli argomenti più caldi di questi anni. Molte aziende stanno già affrontando la loro seconda ondata di virtualizzazione che spesso si traduce in una rivisitazione radicale di quello che è stato fatto negli anni passati per correggere errori e, magari, aggiornare l’infrastruttura con gli ultimi trend tecnologici. L’obiettivo di questa serie di articoli (qui potete trovare la parte 1, 2, 3 e 4) è quello di sottolineare alcuni aspetti di base per chi si avvicina per la prima volta alla virtualizzazione ma anche di ricordare, a chi ha già intrapreso questo percorso, alcuni punti focali per migliorare il più possibile la propria infrastruttura.

Una volta che l’infrastruttura è stata realizzata è necessario mettere in campo gli strumenti e i processi adeguati per mantenerla in modo corretto:

capacity planning

Come già spiegato nel post precedente, esiste il rischio di proliferazione incontrollata delle virtual machines in azienda (il cosiddetto “vm sprawl”).

Questo fenomeno è da evitare con cura in quanto costringe le infrastrutture a dei ratio di consolidamento per cui non sono state disegnate, il classico esempio è quello dell’infrastruttura che viene disegnata per ospitare 150 virtual machines con determinate configurazioni e finisce per averne 300. Questo fenomeno purtroppo è contrastabile solo ed esclusivamente tramite il “polso duro” dell’IT manager che deve sapere quali e dove sono i limiti della sua infrastruttura, ed evitare di trovarsi in spiacevoli impasse quando, ad esempio, l’infrastruttura si trova a non poter più garantire un livello di alta affidabilità per colpa delle troppe risorse occupate (e vi assicuro che è uno scenario, ahimè molto comune).

Per alleviare questo lavoro di “stima” delle potenzialità (o delle necessità) di una infrastruttura virtuale (quello che gli inglesi chiamano “guesswork”) esistono diversi strumenti di Capacity Planning.

Questi strumenti ci aiutano a capire quali sono le potenzialità ancora inespresse della nostra infrastruttura, come, ad esempio, quante virtual machines può ospitare ancora la nostra infrastruttura senza incorrere in problemi di “overcommitment”, ma ci possono soprattutto aiutare quando dobbiamo pianificare una nuova virtualizzazione, per capire quanto e quale hardware ci può servire per supportare, ad esempio, una nuova applicazione da virtualizzare. E’ sempre molto importante pianificare la crescita dell’infrastruttura poichè le risorse sono finite.

chargeback

Uno dei grandi problemi che i dipartimenti IT incontrano quando devono espandere le infrastrutture virtuali è quello di giustificare le spese.

Il meccanismo di chargeback è, a mio avviso, il modo più efficiente per giustificare gli investimenti nella infrastruttura IT.

Il chargeback è un meccanismo di billing in realtà molto “antico”, nasce con i primi sistemi di time-sharing multiutente che, dato l’alto costo, venivano fatti pagare ad ora-CPU. Questo meccanismo si è poi un po’ perso nel cosiddetto periodo del “distributed computing” in quanto tanti server eterogenei fra loro erano più difficili da gestire in fatto di singolo costo cpu,ram o disco, mentre gli hypervisor di nuova generazione ci offrono un layer standardizzato (tutte le cpu, ram e disco virtuali sono standardizzate in ciascun hypervisor) su cui è possibile effettuare il conteggio del billing proprio come si faceva nei mainframe.

Ci sono poi delle situazioni in cui fare il vero e proprio “charge” non è possibile, ma nessuno ci vieta di fare anche solo lo “showback” e cioè far vedere all’azienda quanto costa tenere attiva una macchina virtuale con certe caratteristiche e quindi pianificare gli investimenti di conseguenza. La consapevolezza può essere un’arma fortissima nelle mani degli IT manager: mostrare un grafico al management (o anche alla proprietà) su come viene sfruttato il budget può essere di grande aiuto per richiedere eventuali nuovi investimenti.

Inoltre, il chargeback/showback, è un passo fondamentale per la strada verso il “Cloud”, sia esso Privato o Ibrido, ed è infatti un preludio all’ultimo argomento trattato in questa serie di post.

cloud

Il viaggio verso il Private Cloud non può certamente essere affrontato in un paragrafo di un post, richiede una più ampia digressione che potete trovare in un altro mio post qui, oppure in questo post di Enrico.

Si tratta di realizzare un vero e proprio “tessuto” dell’ IT aziendale dove non è più il “server” o neanche l’ “applicazione” al centro dell’obbiettivo, bensì lo è il “servizio”, il servizio diventa il focus dell’IT, con questo approccio ed utilizzando gli strumenti messi a disposizione dai vendor è possibile creare dei cataloghi dei servizi in azienda e rendere le persone che ne devono fruire, autonome al 100% per i loro bisogni. Mediante tutte le tecnologie menzionate qui e nei post linkati è possibile rendere questi servizi fruibili ed automatizzati, semplificando la vita agli operatori IT, agli Application Owner (i gestori delle applicazioni) e soprattutto, agli utenti finali.