Dopo una settimana in Silicon Valley, e un paio di incontri qui in Italia, ho un’idea che mi sta frullando in testa e che vorrei condividere sperando di innescare una qualche genere di discussione. 

Premessa

Il cloud computing, quella cosa sulla bocca di tutti i professionisti IT ma di cui è sempre meno chiara la definizione (non perché non sia chiara, in realtà…),  sta avendo un adozione un po “particolare” di cui ho già parlato nel recente passato.

Riassumendo, il cloud va alla grande nel consumer e nelle micro/piccole imprese o nelle grandi (dove grande significa grande impresa americana) ma non trova spazio nella media impresa. E’ proprio qui, nella media impresa, dove si collocano la maggior parte delle imprese italiane di un certo spessore.

 

L’approccio talebano non vince

La prima ondata del cloud, quella del cloud pubblico alla Amazon, ha avuto il pregio di aprire una strada e di dimostrare che il modello è vincente. Per quanto Amazon, e gli altri CSP, abbiano continuato una strenua battaglia per dire che l’unico cloud possibile è quello pubblico, le grandi aziende hanno fatto loro il modello e stanno, chi più chi meno, implementando il cloud internamente: il cloud privato.

Quindi, come dire, il fronte si è rotto e per far contenti tutti, e cercare di fare business comunque senza perdere la faccia, siamo arrivati a parlare di cloud ibridi e interoperabilità dei “cloud” (tuttora praticamente una chimera in molte situazioni). Quando si parla quindi di cloud ibrido, in pratica, si parla della possibilità di muovere risorse da e verso i due tipi di cloud. Questo è il modello più apprezzato e sta diventando il punto di riferimento del merato.

C’è modo e modo

Le medie aziende non comprano, almeno in Italia, servizi con la carta di credito!!! 
Il cloud pubblico è fatto per i grandi numeri (magari piccoli clienti, ma tanti) e questo comporta meccanismi standard per accedere ai servizi, ai sistemi di pagamento ed anche alle modalità di erogazione: sappiamo tutti che le aziende italiane hanno invece sempre delle esigenze “particolari”.
Inoltre, in molti casi, esistono delle dinamiche che si possono capire solo se si è abituati a trattare quotidianamente con questo tipo di aziende. I processi decisionali sono lunghi e spesso vengono interrotti da qualche cosa di più urgente (del tipo: il padrone che arriva giù con un nuovo progetto e, tutti sull’attenti, cambiano magicamente le loro priorità!).

Ci vuole un canale diverso

Quindi il modello delle vendite dirette non funziona!
E’ necessario coinvolgere dei partner (rivenditori, VAR o System integrator) che hanno una capacità di interlocuzione diversa da quella della multinazionale.
Il ruolo del rivenditore/partner funziona quando il cliente ha piena fiducia in lui e delle sue capacità tecniche.

Il primo approccio del cloud venduto direttamente è stato fallimentare anche perché i potenziali partner erano terrorizzati dal perdere clienti e vendite. Infatti, loro sono i primi a mettere i bastoni fra le ruote perché non vedono come fare business.

Ora le cose stanno cambiando velocemente. Sono proprio quest’ultimi che si sono mossi per cercare di imbastire un’offerta cloud. Alcuni tentativi sono stati quasi comici ma le cose stanno evolvendo velocemente e sento sempre parlare più spesso di iniziative volte a fornire un’offerta cloud ai propri clienti. 

E’ un dato di fatto che alcuni grandi cloud provider stanno lavorando ad un offerta cloud per rivenditori e stanno per lanciare delle campagne di reclutamento di partner. I primi esempi che ho visto sono quelli di Rackspace (con una reference architecture per openstack che sono disposti a supprotare), Joyent (con il suo SmartDC) ma anche VMware (con un’offerta per vCloud più ampia ed articolata che in passato).

Mini e micro cloud

Quindi si sta creando uno spazio per i partner che possono rivendere questi prodotti ma soprattutto per partner che possono costruire un business nuovo e di successo.
Alcuni S.I./VAR/distributori stanno iniziando a progettare nuovi datacenter (o, più probabilmente, stanno affittando dei rack in grandi DC) e iniziano a offrire *aaS ai loro clienti.
Per cui esistono due possibilità: la prima è quella di creare un mini cloud pubblico per servire pochi clienti e la seconda è di creare un micro cloud dall’utente finale che magari può estendere la sua rete verso il mini cloud pubblico.
Certo, il concetto di micro/mini cloud, farà sicuramente storcere il naso ai puristi ma mi serviva per far capire il disegno generale.

Il vantaggio di servirsi di un cloud provider locale è legato alla professionalità e alla qualità del servizio a cui è abituato l’end user. Inoltre esiste il vantaggio che la fiducia per il rivenditore (riciclato in cloud provider locale) mantiene dati e applicazioni dell’enduser in Italia (locali), facilmente accessibili e, ci fosse mai un problema, si sa chi chiamare e si conoscono le leve per farlo muovere!!!
Insomma, chi in un modo, chi nell’altro, ci guadagnano tutti.

Note finali

Non si può parlare ancora di numeri ma sto conducendo qualche piccola indagine privata è c’è del movimento, tanto movimento.

Ci sono anche dei problemi tecnici che sono abbastanza nuovi e di cui ancora non esiste una soluzione sulle piattaforme cloud di questa generazione: il modello distributore-var-cliente prevede che si gestisca in qualche modo il “multi tenant del multi tenant” o, detta in altro modo, una separazione Multi-tenant a più livelli… tutto questo ancora non c’è ma sono sicuro che la fantasia dei nuovi Mini o Micro CSP italiani ci metterà un pezza (almeno in un primo momento).